Intervista a Lino Guanciale: “Porto This is us in Italia”
Quattro chiacchiere con Lino Guanciale protagonista di “Noi”, remake italiano della serie con Milo Ventimiglia
Le parole di Lino Guanciale
C’è un motivo se Lino Guanciale è stato da molti definito il nuovo “re della fiction italiana” e basta dare un’occhiata al suo curriculum per scoprirlo. Nel corso della sua carriera l’attore abruzzese ha collezionato svariati successi che gli hanno permesso di diventare uno degli interpreti più apprezzati della serialità italiana. Titoli come Che Dio ci aiuti, L’allieva o il più recente Il commissario Ricciardi testimoniano in maniera inequivocabile l’affetto del pubblico nei suoi confronti, che lo ha costantemente premiato con ottimi ascolti.
Entra nel nostro gruppo WhatsApp per esser sempre aggiornato su serie tv e cinemaLa nuova sfida che lo vede protagonista si intitola Noi e prende il via il prossimo 6 marzo su Rai Uno. La fiction, prodotta da Cattleya in collaborazione con Rai Fiction, è l’adattamento italiano di This is us, drama che racconta la storia di una famiglia attraverso diversi decenni. Pietro Peirò è un uomo complesso, pieno di fragilità. Venuto dal Sud, si trasferisce nel torinese per fare fortuna, e qui affronterà i pregiudizi dei nuovi concittadini verso gli emigrati, trovando anche l’amore con Rebecca (Aurora Ruffino).
La coppia avrà tre figli, ognuno col proprio bagaglio di esperienze e debolezze, che la storia sciorinerà oscillando tra presente e passato. Il grande amore che lega Pietro a Rebecca e ai loro figli, autentico collante di quel “noi”, sarà l’arma per affrontare le avversità quotidiane, ma servirà soprattutto per elaborare e superare un tremendo lutto che li condizionerà per sempre. Abbiamo intercettato Lino Guanciale a pochi giorni dal debutto, per saperne di più sul suo Pietro.
D: Hai visto la versione originale? E se sì, cosa ti ha convinto ad accettare l’idea di far parte di questo adattamento italiano?
R: L’originale lo conoscevo bene, l’ho cominciato a guardare prima ancora si iniziasse a parlare del progetto italiano e addirittura di una mia partecipazione. Sono rimasto conquistato dall’innovatività della struttura che This is us porta nel family drama, ovvero la mescolanza dei piani temporali. E’ diventato un grande classico della serialità televisiva contemporanea, per cui l’idea di farne dei rifacimenti in altre nazioni secondo me ci sta perfettamente. Quando mi hanno profilato l’eventualità di partecipare a questo progetto interpretando il ruolo del padre ho sentito quel brivido che ho sempre sentito, durante la mia storia professionale, di fronte alle scommesse appassionanti. Il ruolo è meraviglioso, il racconto è potente e avvincente.
D: Pietro è un uomo originario del sud Italia degli anni 50, che si trasferisce a Torino in cerca di una vita migliore e che si scontra con i pregiudizi. A cosa ti sei ispirato per entrare dentro il suo mondo?
R: Da un punto di vista filmico ci sono tantissimi modelli a cui rifarsi, dallo splendido Mimì metallurgico ferito nell’onore con Giancarlo Giannini a narrazioni contemporanee che hanno tanto parlato e scritto dell’Italia delle migrazioni interne. Ho cercato poi di attingere alla mia storia familiare. Vengo da una famiglia che in grandissima parte è fatta di migranti, i cugini dei miei nonni sono per lo più andati via dall’Italia. Accanto a me ho avuto tanti miei cari che raccontavano quanti sfottò e discriminazioni hanno subito. “Noi” è stata l’occasione per mettere in gioco la mia memoria personale.
D: In cosa ti rivedi in Pietro e in cosa è completamente diverso da te?
R: La diversità è sicuramente il background. Pietro non ha avuto la possibilità di nascere nella famiglia in cui sono nato io, nasce in un contesto molto più complicato. Nonostante sia estremamente intelligente e curioso, non ha proprio modo di esprimere i propri talenti e cogliere le proprie possibilità al meglio. Si deve accontentare di quello che rimedia finché avviene il momento del riscatto, che passa per l’innamoramento per la donna della sua vita e per la sua famiglia. In questo credo di riconoscermi.
D: Hai avuto modo di avere un contatto con Milo Ventimiglia, il tuo alter ego in “This is us”, o qualche protagonista della versione originale?
R: Non ho avuto questa opportunità di confronto. Mi sarebbe piaciuto avere questa possibilità ma allo stesso tempo credo sia stato anche un bene. La scommessa è sempre quella di cercare di raccontare il proprio punto di vista, sperando che il pubblico apprezzi e rilevi anche quelle che sono le differenze significative rispetto al gigantesco e bellissimo lavoro fatto dagli attori nella versione originale.
D: Facciamo il percorso inverso: se dovessi pensare a una fiction che ti ha visto protagonista e che potrebbe funzionare anche all’estero, quale ti viene in mente?
R: Sicuramente La porta rossa. Per quanto sia legata a Trieste, è un racconto più semplice da immaginare ad altre latitudini. Sicuramente una versione nord-europea funzionerebbe benissimo. Su La porta rossa mi arrivano molti messaggi dall’estero, dall’Iran ad esempio. Mi incuriosirebbe vedere come un progetto del genere sarebbe declinato in un posto che ha una sensibilità come quella asiatica. Ti direi anche Il commissario Ricciardi se non fosse che Ricciardi è talmente legato alla Napoli di quel periodo che è difficile immaginare una traduzione estera. Lì c’è un legame con il territorio che andrebbe replicato radicalmente.
D: Hai presentato “Noi” al Festival di Sanremo 2022. Se dovessi utilizzare una canzone per descriverla, quale sceglieresti?
R: Intanto c’è la canzone scritta da Nada per la serie, “Mille stelle”, che è bellissima. La musica è molto importante nel look complessivo della serie e Nada è favolosa, parliamo di una figura gigantesca della nostra storia musicale. Se dovessi pensarne un’altra, ti direi “Un bacio è troppo poco” di Mina.
D: Per ogni opera “remake”, che sia un film, una serie tv o una canzone, c’è sempre il rischio di un confronto con l’originale dietro l’angolo. Come reagirai agli immancabili paragoni?
R: Le critiche vanno sempre accolte, sia quelle costruttive che quelle distruttive. È sempre interessante capire perché qualcuno mette in discussione o stronca un lavoro che hai fatto, perché capisci se c’è qualcosa da imparare o con cui ti trovi anche d’accordo o se c’è solo del livore fine a se stesso. Mi auguro che venga apprezzato l’onestà nell’approccio.
D: Dopo “Noi” arriva su Rai Uno “Sopravvissuti”, un’altra serie che ti vedrà protagonista. Cosa puoi anticiparci a riguardo?
R: Sopravvissuti è a sua volta una scommessa enorme perché è il primo capitolo di una bella alleanza tra grandi tv pubbliche europee, un’alleanza tesa a cercare di produrre dei progetti che siano concorrenziali. Il concept è stato elaborato da dei giovanissimi sceneggiatori italiani e anche chi ha sviluppato la serie sono risorse autoriali italiane. Parte del cast è francofono o germanofono, c’è un interessante melting pot culturale. È un thriller innovativo sia da un punto di vista della costruzione narrativa che da quello della tecnologia. La trama è molto semplice da accennare: 12 persone sono su una barca a vela avveniristica per fare un viaggio promozionale a favore della ricerca contro il cancro. Durante questa traversata atlantica incappano nella tempesta perfetta e non si hanno notizie di loro. Dopo un anno 7 di loro tornano a casa con un carico di segreti enorme. Io interpreto lo skipper di questa imbarcazione. È una scommessa forte per la prima serata. Io penso che vedere che si riesce a creare dei prodotti così ambiziosi e belli con le risorse della tv pubblica possa essere anche un motivo di orgoglio per il telespettatore.
L’intervista è in edicola sul numero di marzo di Ciak, la storica rivista dedicata al mondo del cinema.