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Lucio Patanè: intervista all'”attore sfigato” di Boris che sbarca a Cannes
Lucio Patanè si racconta, dall’esordio in Amici Miei al ritorno dell”attore sfigato” nella nuova stagione di Boris e l’approdo in The White Lotus 2
Tra poche ore sarà all’ultimo Festival di Cannes con Il barbiere complottista, cortometraggio che fotografa uno dei fenomeni più inquietanti della società digitale. A settembre lo vedremo nel cast della nuova stagione della serie TV americana The White Lotus, e prossimamente tornerà nella quarta stagione di Boris su Disney+. L’inverno scorso è stato nella fortunata fiction di Rai 1 Un professore, mentre attualmente possiamo vederlo su Amazon Prime Video in Bang Bang Baby. Parliamo di Lucio Patanè, attore eclettico tenuto a battesimo nell’82 da Monicelli nel sequel di Amici Miei, dove interpretava il figlio del mitico Perozzi (Philippe Noiret).
In occasione della proiezione di Il barbiere complottista abbiamo avuto l’opportunità di scambiare quattro chiacchiere con lui, ripercorrendo i momenti salienti della carriera e cercando di saperne di più soprattutto sulla seconda stagione di The White Lotus, che quest’anno è stata girata in Sicilia, oltre che sull’attesissimo ritorno di Boris.
Entra nel nostro gruppo WhatsApp per esser sempre aggiornato su serie tv e cinemaIntervista a Lucio Patanè
Che emozione si prova prima di Cannes?
“In effetti è la mia prima volta al Festival, e sono emozionato. L’importante comunque è andarci portando con sé un buon lavoro. È vero che si tratta di un corto, ma ci sono molto affezionato, perché nasce dall’incontro con Valerio Ferrara, che ho conosciuto sul set di una serie televisiva. Creammo un bellissimo rapporto e lui si è ricordato di me”.
L’idea di fondo, quella di un barbiere che cade nel tunnel dei complottismi, è quanto mai attuale…
“Molto attuale. È la storia di un uomo che per uscire da una vita monotona si convince di avere la verità in tasca, ma è vittima della manipolazione delle informazioni non verificate che trova su Internet. In realtà è solo il suo modo di affermare la propria esistenza…”
Per caso ti sei ispirato a qualcuno che conosci, e che magari si è lasciato trascinare nel vortice delle fake news del momento?
“Mi sono ispirato a tante cose, anche a persone che realmente conosco. Per documentarmi sulla follia del personaggio, però, mi è servito molto ascoltare la trasmissione radiofonica La Zanzara, che mi ha dato parecchie fonti d’ispirazione… Lì chiamano le persone più incredibili, che raccontano storie che non esistono trovando così una maniera stravagante di affermare la propria esistenza”.
Il regista del corto, Valerio Ferrara, è appena uscito dalla Scuola Nazionale di Cinema proprio con questo cortometraggio come saggio. Com’è stato farsi dirigere da un ragazzo così giovane e alle prime armi?
“Dal punto di vista artistico è stato molto stimolante. Con Valerio abbiamo costruito per tempo il personaggio, provando, modificando, e poi il progetto mi ha riportato indietro nel tempo: mi sono ritrovato a lavorare come lavorai dopo Amici miei, quando con l’amico Luigi Rotondo (oggi a capo della società Studiomaker, ndr), negli anni delle prime telecamere digitali, autoproducemmo diversi cortometraggi vincendo anche alcuni concorsi. Tra i ragazzi della troupe mi sentivo uno zio o il padre, e forte della mia esperienza talvolta mi sono permesso di far notare cosa si potesse aggiustare o fare diversamente”.
Lucio Patanè: il ricordo di Amici Miei
Hai accennato ad Amici miei e non posso non chiederti un ricordo della tua prima volta sul set… Come fosti scelto, intanto?
“Feci uno street casting con Francesco Germi, uno degli assistenti alla regia di Monicelli. Venne davanti scuola e mi chiese se volessi fare un provino, poi mi accompagnò a casa. Quando lo spiegai a mia mamma lei non ci credeva e mi disse ‘Ma per favore! Vatti a lavare le mani che è pronto”. Invece poi constatò che c’era davvero qualcuno alla porta. Gli demmo una mia foto, fui richiamato per il provino e infine andai a Firenze e a Roma a girare. Fu una grandissima esperienza, anche perché era un desiderio che si tramutava in realtà. Conservo ancora un tema di quando avevo otto anni, in cui mi si chiedeva cosa volessi fare da grande, e io scrissi o l’attore o il calciatore. Quindi, come dire?, ci sono le prove!”.
E lavorare con Monicelli e il cast, che era un tripudio di mostri sacri del cinema, com’è stato?
“Monicelli mi ricordo che mi chiese semplicemente di essere naturale, e io lo feci. Fu un ottimo consiglio, anche se il migliore me lo diede mio padre, il giorno in cui dovetti partire per Firenze. Mi disse: ‘Ricordati che è solo un gioco, è come una partita a pallone: divertiti’. Questo secondo me è il succo del mestiere dell’attore, che in fondo è un gioco. Per il resto fui accolto benissimo da tutta la troupe. In particolare Gastone Moschin, Adolfo Celi e Renzo Montagnani m’insegnarono a giocare a biliardo, e tra un ciak e l’altro facevamo partite a pallone anche col resto della troupe. Era tutto bellissimo. E poi saltavo anche la scuola, quindi era meraviglioso!”.
Che insegnamento hai appreso da un’esperienza come questa?
“Da questi grandi attori ho appreso un certo modo di approcciare il set: il cinema è bello perché è frutto del lavoro di tante persone, quindi bisogna avere rispetto di tutti e collaborare. È soprattutto questo il bagaglio che mi porto appresso ancora oggi”.
The White Lotus 2: le anticipazioni
Veniamo ora a The White Lotus 2. Sappiamo che hai già terminato di girare: com’è andata su un set americano, anche se in trasferta qui in Italia?
“Sono entrato a far parte di un meccanismo produttivo molto oleato e professionale, anche dal punto di vista artistico. Il regista, Mike White, oltre a essere sceneggiatore è anche produttore della serie, perciò aveva molta voce in capitolo. Dava la possibilità di improvvisare, cambiava spesso il copione… Con tutto il cast e la troupe, poi, si è instaurato un bellissimo clima. Il mio non è certo un grande ruolo, ma d’altronde io sono specializzato in piccoli ruoli…”
Puoi anticiparci qualcosa degli sviluppi della storia?
“Purtroppo non posso rivelare molto. Per ora basti sapere che interpreto un personaggio di contorno che aiuta a raccontare la storia. Non sarà un ruolo chiave, e credo che comparirò dalla metà della stagione in poi”.
Boris 4: di nuovo nei panni dell'”attore sfigato”
A proposito di “piccoli ruoli”, anche in Boris ne interpretavi uno che però è rimasto impresso nella memoria. Tornerai nella stessa parte anche nella quarta stagione?
“Sì, il mio personaggio è sempre lo stesso della terza puntata della prima stagione, ma ‘l’attore sfigato’ dello Scalatore delle Ande stavolta farà altre cose. Riprendere la serie è stato un piacere, anche se per Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo non deve essere stato facile dopo la scomparsa dell’amico Mattia Torre. In ogni caso ho letto tutti i copioni, e posso dire che il livello è esattamente lo stesso delle tre stagioni precedenti”.
Al di là della sceneggiatura, quanto di tuo hai potuto mettere nel personaggio?
“Tantissimo, con tanta ironia e non prendendosi mai troppo sul serio. E anche questo credo sia uno dei segreti del mestiere, altrimenti l’ego si mangia tutto, si perde di vista la realtà, e nei momenti bui finiremmo per volare troppo alto o precipitare sotto terra”.
Hai spaziato dal cinema alla TV – anche internazionale. Hai lavorato con grandissimi registi e colleghi, sperimentato linguaggi diversi a vari livelli… C’è qualcosa che ancora ti manca di fare, magari anche passando dall’altra parte della macchina da presa?
“Io sento di essere un attore puro. Sì, saprei dirigere altri attori, ma non credo di avere né l’attitudine né l’ambizione di fare il regista. Piuttosto mi piace la scrittura, per esempio ho scritto un monologo che ho portato in scena, ma in linea di massima preferisco di più stare davanti alla telecamera. Sono molto più attento alla relazione tra gli attori, al rapporto che si crea con il regista… Però non mi rivedo mai nel monitor, a meno che non sia il regista a chiedermi di farlo, perché rischierei di uscire dal personaggio”.
E un ruolo che speri di poter ancora interpretare?
“Non ho grandi sogni neanche in questo senso, anche se naturalmente adorerei fare un personaggio come Michael Corleone nel Padrino o Mandrake in Febbre da cavallo… Ma in generale mi auguro di poter spaziare dal dramma alla commedia, dal tragicomico al surreale, dal cinema alla serialità. C’è una cosa che mi piacerebbe fare: meno provini possibile. Sarebbe una grande soddisfazione…”
Nel privato invece cosa ti piace guardare in TV?
“Mi piacciono molto le serie storiche, per esempio The Crown, per cui mentre la guardavo pensavo di spiare i reali dal buco della serratura, o 1992 e The New Pope”.
Se i tuoi personaggi più recenti, di Boris, The White Lotus e Il barbiere complottista fossero una canzone, che canzone sarebbero?
“Potrebbero essere i protagonisti surreali di una canzone di Lucio Dalla, tipo Mary Louise!”