CGImportante, oltre alla letteratura, è anche il ruolo del “doppio”. Si passa spesso da scene di totale solitudine a scene corali, da silenzi a spazi pieni di parole, da aspetti della pop-culture a un richiamo della “classico”: quale dei due lati – modernità o tradizione – ti rappresenta maggiormente?

EU: Sono una persona un po’ contraddittoria, amo sia il sacro che il profano. Sono un grande fan delle cose vecchie ma anche un grandissimo fan delle cose nuove. Ci sono, nel corto, alcune scene con inquadrature lunghe, statiche, che sono, a mio parere, difficili da vedere nel cinema della contemporaneità.

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CGParlando di persone, invece, sembra estremamente forte il messaggio legato alla solitudine e alla volontà di far parte di realtà che spesso non sono nostre o non ci accettano. Come ti poni su questo tema?

EU: Fa tutto parte del mio vissuto personale. Ho vissuto in prima persona la solitudine e la sensazione di sentirmi un emarginato quand’ero piccolo, quindi so cosa si prova a sentirsi fuori da un contesto. L’obiettivo principale di quella solitudine era mostrare come ogni individuo, rispetto all’universo, si trova da solo: la coralità di alcune scene diventa coralità apparente. Quando sei di fronte a qualcosa di così grande come la morte, sei tu, da solo.

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