Intervista a Emanuele Di Stefano

Noi siamo leggenda è il nuovo teen drama di Rai Due che ci racconta una grande verità: la vera forza del singolo è la comunità. Emanuele Di Stefano ha pensato proprio a questo quando ha portato sul piccolo schermo Massimo, il suo personaggio nella serie diretta da Carmine D’Elia che ha debuttato lo scorso 22 novembre.

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Il ragazzo stava affrontando un grave lutto per la perdita di sua madre quando scopre di avere un superpotere. Un superpotere che è un po’ un dono e un po’ una condanna. La sua rabbia può infatti trasformarsi in una pericolosissima arma. Ogni volta che l’ira prende il sopravvento le sue mani diventano delle vere e proprie torce infuocate in grado persino di fondere il metallo.

Nel corso della serie Massimo imparerà a usare questo suo dono e la sua evoluzione personale sarà collegata a quella di altri 4 ragazzi che, come lui, sono dotati di uno speciale potere. Abbiamo parlato con Emanuele Di Stefano del suo nuovo progetto e, con l’occasione, abbiamo scoperto qualcosa in più della sua persona. Nonostante sia giovanissimo l’attore disdegna il mondo dei social e non ha neanche un profilo Instagram. “Se non vengono utilizzati nella maniera corretta possono diventare nocivi per la salute e creare dipendenza“, spiega. Ecco cosa ci ha raccontato

D: Il superpotere di Massimo è legato alla rabbia ed esce fuori, almeno nelle prime puntate, quando non riesce a controllarsi. Secondo te quello che ha è più un dono o una condanna?

R: Massimo avrà tre punti di vista sul superpotere che riceve. Il primo, quello iniziale, che è quello di aver ricevuto un regalo, di potersi vendicare sulle ingiustizie che reputa tali. La seconda fase è quella in cui si pentirà delle azioni che ha fatto attraverso il suo superpotere perché si renderà conto che avrà delle ripercussioni negative sulla vita degli altri. La terza fase è quella in cui riuscirà a far conciliare una morale a questa sua nuova abilità e quindi utilizzerà il suo potere per fare del bene agli altri.

D: A cosa hai pensato per portare sullo schermo la rabbia di Massimo? Cosa ti ha aiutato a manifestarla?

R: Non mi sono ispirato a qualcosa in particolare. È stato un lavoro fatto sul momento sul set e scena per scena attraverso la guida del regista Carmine D’Elia.

D: Mi viene da pensare che il vero superpotere di Massimo siano i suoi fedeli amici, Marco e Andrea. Lo aiutano a riprendersi dal momento più duro della sua vita e gli sono accanto sempre. Non è così? 

R: Sì, è così. Tralasciando i superpoteri che vengono utilizzati come una metafora delle difficoltà e delle insicurezze che questi ragazzi vivono, il tema principale della serie è che loro riusciranno a uscire dalle loro problematiche attraverso la comunità. Questi ragazzi scopriranno di avere lo stesso dono, anche se in forme diverse, e si incontreranno. Insieme troveranno un modo per aiutarsi a vicenda. L’amicizia e la comunione rappresentano qualcosa di positivo per la persona.

Emanuele Di Stefano, la vita sul set

D: Hai condiviso diverse scene con Claudia Pandolfi, che avrà un ruolo chiave nella vita di Massimo. Come è stato lavorare con lei e che consigli ti ha dato?

R: Lavorare con lei è stato piacevole. Purtroppo ho la sensazione di aver sprecato un po’ l’opportunità perché era un periodo in cui non ero molto centrato e con facili distrazioni. Questa cosa non mi ha fatto vivere l’esperienza del set al 100%. Con Claudia parliamo tranquillamente, in amicizia. Si è creato un rapporto sereno, il che non è scontato. È stata molto disponibile.

D: A proposito di supereroi mi viene in mente una citazione dello zio di Peter Parker: “Da un grande potere derivano grandi responsabilità”. Mi sembra una frase che può essere adattata perfettamente anche al mestiere dell’attore. Qual è, secondo te, la più grande responsabilità di chi fa il vostro lavoro?

R: Il potere è il mestiere stesso, è la capacità di raccontare una storia e la possibilità di poterla raccontare con le tue sfumature. Un mio insegnante, Eduardo Ricciardelli, in questi giorni mi ha detto una cosa: “Nella recitazione non c’è possibilità di intermittenza“. L’attore deve essere concentrato e impegnato in ogni momento perché altrimenti tradiresti le persone a cui stai raccontando quella determinata storia. In secondo luogo far parte di questo mondo significa far parte di un posto elitario. Per questo hai la responsabilità di rimanere umile e di dare importanza anche alla posizione su cui ti stanno mettendo.

D: Qual è stata la scena più difficile da girare, intendo proprio a livello tecnico? 

R: Forse la persona che ha lavorato di più con gli effetti speciali sono stato io. Avevo dei led attaccati alle mani che espandevano luce. Tutte le scene con queste mani che si accendevano sono state complicate. Purtroppo il mezzo non era adatto, non era un mezzo che facilitava la recitazione e non funzionava sempre. Per tutto il resto (sia le barre che si allargano, sia le cassaforti che si squagliano) c’è stato un grande lavoro fighissimo da parte degli effetti speciali fisici. Sono tutti veri e poi ritoccati in post produzione.

D: Qual è il superpotere che da piccolo hai invidiato a un supereroe?

R: Forse l’invisibilità, entrare nei posti e vedere cose che non dovresti vedere.

D: Un elemento fondamentale di Noi siamo leggenda è la colonna sonora. Proprio in questi giorni è uscito Spotify Wrapped, in cui ti vengono segnalati i brani che hai ascoltato di più nel corso dell’anno. Cosa c’è in cima alla tua classifica?

R: Sicuramente Noyz Narcos, ho ascoltato tanto Izi. Anche Geolier. Poi ho scoperto i Negramaro e Mentre tutto scorre, poi c’è Lose Yourself di Eminem.

D: Sei giovane e immagino tu abbia ancora molti sogni nel cassetto. Ti va di dircene almeno uno?

R: Sai che non ho mai avuto IL sogno. Non è mai stata una cosa presente in me. Ho sempre avuto delle idee più che dei sogni. Recitare con Al Pacino sarebbe figo. Tra l’altro ho fatto di recente una posa in un film diretto da Julian Schnabel in cui dovrebbe esserci. Piano piano mi ci sto avvicinando.

D: La tua serie tv preferita in assoluto?

R: Questa è una delle domande più difficili che tu potessi farmi. Ti dico Peaky Blinders, perché è quella che ho rivisto più volte.