Continuiamo a seguire con occhio critico la serie televisiva di FX, proponendovi anche l’analisi dell’ultimo episodio.

La terza pagina di Roanoke, andata in onda nella notte di mercoledì scorso, è stata un capitolo oltremodo frenetico: dopo il cliffhanger del secondo episodio, che ci aveva lasciati col fiato sospeso alla scomparsa della piccola Flora, proprio le ricerche della ragazzina ci hanno guidato tra i segreti nascosti nel verde circostante la grande magione dei Miller. E’ bastato poco per rendersi conto che le parole amatoriali registrate dal fanatico dr. Cunningham nel secondo episodio non erano che un piccolo assaggio di quanto ci attendeva: finalmente infatti il presente di Shelby e Matt si è incrociato con il passato della colonia di Roanoke, che si preannuncia protagonista delle prossime settimane. La tanto discussa ricostruzione drammatica degli eventi dei Miller ha oscillato stavolta tra storia e leggenda, spalancando le porte ovvero le finestre – come durante la seduta spiritica che l’ha involontariamente evocata – alla cruenta sposa del capo colonia John White, Thomasin detta la Macellaia, il cui volto immusonito e insanguinato, tanto quanto la rustica ferocia con la quale l’abbiamo vista divorare un cuore di suino ancora pulsante, non poteva non ricordarci la cannibalica Ma.me Delphine LaLaurie. E questo ammicco alla stagione della congrega si suppone ormai non sia affatto casuale, bensì il risultato dell’ambizioso progetto – apparentemente autoreferenziale – del creatore Ryan Murphy di riprendere almeno nei primi cinque episodi alcuni elementi che omaggino le rispettive stagioni della serie.

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E’ per questo, dunque, che oltre ai richiami alla LaLaurie si è rivisto Leslie Jordan, dopo Coven nelle parti di un medium artefice di una seduta spiritica inaugurata con alcune formule di invocazione, e probabilmente non per caso a Mason, marito di Lee, è toccato il destino di una morte sul rogo comunemente associata a qualunque donna accusata in passato di pratiche esoteriche. Eppure, a dispetto della sequela di legami tra una stagione e l’altra, anche stavolta non si è scaduti nel rischioso pericolo del deja-vu, giacché pare continui a prevalere la sensibilità autoriale nella speculazione sui personaggi, il fascino irrimediabilmente accattivante di una storia ancora non ben chiara, e l’originalità del linguaggio prescelto per tutto ciò.

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