Richard Gadd di Baby Reindeer ha risposto all’azione legale intrapresa dalla presunta stalker

Richard Gadd ha rotto il silenzio sulla causa legale intentata da Fiona Harvey: il creatore di Baby Reindeer ha parlato dopo che la sua presunta stalker ha citato in giudizio Netflix per 170 milioni di dollari, sostenendo che lo show fosse “la più grande menzogna nella storia della televisione“.

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In un documento del tribunale ottenuto da E! News il 30 luglio, Gadd ha raccontato di aver incontrato la Harvey al pub Hawley Arms dove lavorava nel 2014.

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In seguito a quell’incontro, ha affermato che la cinquantottenne ha iniziato a perseguitarlo e molestarlo per tre anni, sostenendo che il comportamento si è gradualmente trasformato in migliaia di email e messaggi vocali, oltre a contatti “inappropriati” e “maneschi”.

Nulla la scoraggiava e ricordo lunghi turni in cui mi sedevo sul balcone o nel seminterrato per ore aspettando che se ne andasse.

Ha dichiarato Gadd nel documento. Detto ciò, il trentacinquenne ha sostenuto che la serie Netflix non riguarda necessariamente il racconto della sua esperienza con la Harvey, spiegando che l’intenzione era narrare una storia “emotivamente vera”.

È romanzata e non ha l’intento di rappresentare fatti reali.

Inoltre, il comico ha affermato che nessuno dei personaggi presenti nella serie Baby Reindeer rappresenta persone reali. Nel documento si legge sempre:

Ho volutamente usato personaggi che non condividevano i nomi reali di nessuna persona della mia vita e ho scritto dialoghi e scene romanzati. Ciascuno dei personaggi della serie ha alcuni tratti di personalità immaginati che ho specificamente selezionato per renderli utili come dispositivi drammatici.

La risposta di Richard Gadd arriva meno di due mesi dopo che la Harvey, la quale ha affermato di essere l’ispirazione reale dietro il personaggio di Martha in Baby Reindeer, ha lanciato contro di lui e Netflix una serie di accuse.

Si parla di diffamazione, inflizione intenzionale di stress emotivo, negligenza, grave negligenza e violazione del diritto di pubblicità, tutto nella sua causa da 170 milioni di dollari.