Parola alle protagoniste

Oggi è il giorno de I 400 giorni – Funamboli e maestri al Torino Film Festival. Il documentario prodotto dalla DO Cinema del talent manager Daniele Orazi con il patrocinio di Roma Lazio Film Commission ed il sostegno del Ministero della Cultura viene presentato fuori concorso nella sezione “Ritratti e paesaggi” della 41esima edizione della kermesse piemontese.

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I 400 Giorni – Funamboli e maestri è un racconto corale, una vera e propria dedica al mestiere dell’attore. Diretto da Emanuele Napolitano ed Emanuele Sana e scritto da Vittoria Spaccapietra e Daniele Orazi, il documentario racconta un casting on the road, della durata di un anno, che ha toccato le maggiori città italiane alla ricerca del talento.

Ad accompagnare questo viaggio molteplici voci del panorama cinematografico italiano e internazionale: da Anna Foglietta a Massimiliano Caiazzo fino a Giacomo Gianniotti. Ciak Generation ha avuto modo di intervistare tre attrici protagoniste del documentario: Adele Cammarata, attualmente nel cast de I Leoni di Sicilia su Disney+, Maria Anolfo, che vanta una lunga gavetta teatrale, e Sarah Short, tra i protagonisti di Clorofilla (film presentato all’ultima Festa del Cinema di Roma). Ecco cosa ci hanno raccontato.

D: “I 400 Giorni” è stato un viaggio speciale per ognuna di voi. Che cosa ha rappresentato e qual è l’insegnamento più grande che vi ha lasciato?

Adele Cammarata: 400 Giorni di riscoperta personale, ogni giorno nuove possibilità per conoscersi, errare e ricominciare. Non è cambiato nulla in particolare, si è trasformato un po’ tutto. In questo ciclo di metamorfosi provo a non imporre alcun cambiamento, a rimanere in ascolto. Il flusso incontrollato degli eventi suggerisce di donarsi e affidarsi alle idee, alla fantasia. Creare sempre, mai distruggere.

Maria Anolfo: Far parte di questo progetto significa per me far parte di una rete di supporto edificante, che è in grado di darmi sicurezza, in un mestiere in cui la sicurezza il più delle volte te la devi creare da solo. Di conseguenza l’insegnamento che mi sento di aver interiorizzato è di non isolarsi, di non escludersi, di esporsi, di non nutrire l’individualismo ma avere speranza nell’unione.

Sarah Short: I 400 giorni mi ha dato l’opportunità di conoscere altre ragazze e ragazzi accomunati dalla stessa passione. È stato affascinante vedere come la passione per questo mestiere assuma diverse forme in ciascun di noi.

D: Per fare questo lavoro è necessario avere passione, studiare, sacrificarsi ma molto spesso non è sufficiente. Quanto è importante avere una guida e un punto di riferimento in questo percorso?

Adele Cammarata: L’ago della bussola vacilla continuamente, ad ogni minimo spostamento tenta di ricentrare di nuovo il suo Nord. È una sicurezza, una protezione che fornisce una panoramica generale del percorso, per non perdersi. Ma la strada va intrapresa con le proprie gambe e le giuste munizioni, scegliere cosa raccogliere lungo il cammino e cosa invece abbandonare. Una volta attrezzati è importante ricentrarsi, considerare se stessi e il proprio sogno come guida.

Maria Anolfo: Sono convinta che credere in sé stessi sia il modo principale per far accadere cose nuove. È importante riconoscere le nostre individualità, ma chi fa questo mestiere non può prescindere dal confronto col mondo esterno. Essere incoraggiata dalla fiducia di maestri del mestiere ha confermato le mie convinzioni, ha rinnovato la mia fiducia professionale. Quindi direi che ciò che questa esperienza mi ha lasciato è uno sguardo nuovo, uno sguardo aperto verso l’altro.

Sarah Short: Avere una guida è fondamentale per essere tutelate in questo mestiere e per avere consapevolezza del tipo di percorso che si sta facendo. In questo Daniele è stata una persona molto generosa.

D: Un viaggio composto da un gruppo di 24 aspiranti attori, con i propri sogni e le proprie storie. Tra di voi c’è più competizione o solidarietà?

Adele Cammarata: Lo sguardo verso l’altro è sempre curioso, attento e comprensivo. Viviamo un momento in cui è importante per la nostra categoria iniziare a fare fronte comune per tutelare e preservare la fragilità di questo mestiere. 

Maria Anolfo: Senza ombra di dubbio solidarietà. Al di là del feeling personale, penso che l’occhio di Daniele Orazi abbia dato spazio a persone buone, meritevoli, di forte empatia e talento. E con le quali sono orgogliosa di condividere un percorso artistico.

Sarah Short: C’è sicuramente competizione ma riusciamo miracolosamente a viverla come un gioco. Viviamo già in un modo difficile quindi riconosciamo quanto sia importante sostenerci l’un l’altra.

D: Qual è stato il film o la serie tv che vi ha fatto scoprire la passione per la recitazione?

Adele Cammarata: Jules et Jim, guardato per caso da una me liceale dopo una cena in famiglia. Quel senso di libertà, spregiudicatezza e impermanenza hanno impresso nella mia memoria una visione che già mi apparteneva ma che non riuscivo a decifrare o esprimere. Il turbine emotivo di un’adolescente instabile che tutt’oggi a intermittenza torna a manifestarsi.

Maria Anolfo: Più che un film, è una persona. Mio nonno Severino. Quando ero piccola, mi convinceva a suon di caramelle latte e miele ad andare da lui a guardare i film che collezionava. Aveva non so quanti armadi piedi di cassette. Era anche solito ritagliare articoli, recensioni dei film ed incollarle meticolosamente sulla copertina. Una passione senza limiti, che non ho potuto lasciare incolta

Sarah Short: Più che film ci sono tante attrici e attori che mi ispirano. Tra queste Isabelle Huppert, Olivia Colman, Aimee Lou Wood.

D: Qual è l’aspetto che preferite di questo lavoro?

Adele Cammarata: La possibilità di farsi tramite, di far compiere piccole trasformazioni ad altri attraverso se stessi. La delicata materia delle emozioni rende il corpo, il volto riflessi di un mondo interiore. È un linguaggio che viaggia attraverso l’intangibile, è una pratica alchemica.

Maria Anolfo:  L’aspetto che preferisco è la continua scoperta di testi, personaggi, storie. Questo mi dà l’opportunità di informarmi su questioni che normalmente forse non toccherei. Penso che se noi attori non ci nutriamo come persone, non possiamo dar molto ai personaggi.

Sarah Short: La possibilità di conoscere tante persone, di conoscerne i punti di vista e arricchirsi.

D: Qual è invece quello che vi spaventa di più?

Adele Cammarata: La discontinuità, l’instabilità, questo senso di inadeguatezza, l’invadente sensazione di non saper fare altro che fingere di saper fare qualcosa, di poter essere qualcuno. Il lavoro sta tutto nel gestire i momenti in cui non si lavora, come potenziali bacini di creazione dove concedersi la libertà di plasmare le proprie intuizioni.

Maria Anolfo: Non so cosa mi possa spaventare, al momento non mi ha ancora fatto paura nulla.

Sarah Short: Ho paura di perdere la capacità di meravigliarmi, di sorprendermi come essere umano e che questo abbia delle ricadute sulla mia creatività nel lavoro.

D: Quali sono i vostri prossimi progetti?

Adele Cammarata: Mi sto dedicando allo sviluppo e al perfezionamento del mio lato da carpentiere. Avere una materia concreta tra le mani, poter costruire e dare forma tangibile all’ispirazione è un esercizio di conoscenza profonda che gratifica e appaga il vuoto della precarietà. L’immaginazione è l’antidoto.

Maria Anolfo: I miei progetti personali sono sia in campo teatrale che cinematografico, ma non voglio svelare nulla! A tempo debito scoprirò le carte.

Sarah Short: Ho lavorato a tre progetti quest’anno: un film intitolato “Clorofilla”, a una serie Rai su Guglielmo Marconi e a un cortometraggio diretto da una regista Svizzera. Al momento sto facendo provini. Incrociamo le dita!